Galletti: un grande piano industriale per il mondo

L' intervista del ministro Galletti al Sole24Ore
Che pensa di questo accordo ministro? “Niente sarà più come prima -risponde il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti -. E’ un accordo storico; a Parigi il mondo ha imboccato una strada condivisa verso un’economia di qualità - e uso il termine “qualità” per non ricorrere a una parola abusata come ‘sostenibile’”.

Quali effetti ci saranno per l’economia italiana?

Ci saranno effetti positivi. Noi siamo tra i Paesi sottoscrittori del Protocollo di Kyoto del ’97 e l’abbiamo rispettato; oggi il 42% dell’energia elettrica italiana proviene dalle energie rinnovabili, abbiamo investito nella green economy, abbiamo ridotto le emissioni del 20%. Quindi sappiamo bene come si fa, abbiamo sviluppato le tecnologie migliori da esportare, abbiamo le buone pratiche da proporre al mondo. Sono sicuro che per l’impresa italiana da questo
accordo sul clima ci saranno solo vantaggi.

In altre parole, più opportunità che vincoli?

Per intenderci, oggi non è come quando firmammo il Protocollo di Kyoto, con il quale noi europei e soprattutto noi italiani prendemmo un carico rilevante di vincoli quando altri Paesi non lo avevano. Oggi tutto il mondo si impegna ad andare in una direzione comune, e finalmente questo impegno non è più una serie di vincoli, ma appunto, di opportunità. Lo dico in altre parole: è come se a Parigi stessimo facendo il grande “piano industriale del mondo” per i prossimi 85 anni.

L’Italia ha già strumenti, penso alla delibera Cipe del 2013, per ridurre le emissioni e “decarbonizzare” quanto possibile la nostra economia. Che pensate di fare?

Il compito del Governo è essenziale per accompagnare lo sviluppo che l’intesa di Parigi ci indica. L’accordo sul clima ci porta verso l’economia circolare, come indica anche la nuova direttiva europea, e dobbiamo immaginarci come facilitare un uso più efficiente delle risorse. Questo sviluppo deve essere accompagnato da leggi che aiutino il percorso.

Alcuni Paesi non adotteranno subito strumenti per ridurre le emissioni. Ciò potrà generare disparità di competitività?

Nell’accordo sono previste flessibilità, come è giusto; non tutti i Paesi del mondo possono essere chiamati nello stesso momento agli stessi obiettivi. Ma nel testo di Parigi sono contenuti i meccanismi per fare in modo che nel medio periodo si tenga conto di come i vari Paesi si sviluppano, in modo da poter avvicinare tutti all’impegno comune.

Quale era il suo obiettivo all’inizio della Cop21?

Io ero partito dall’Italia con un obiettivo, quello di “innalzare l’ambizione”. L’obiettivo comune a cui si tendeva era contenere il surriscaldamento del pianeta entro i due gradi a fine secolo, ma sapevamo già in partenza che quell’obiettivo di 2° in più a ime secolo non è sufficiente a salvare tutti. Il limite per salvare tutti è non salire oltre 1,5°. Ebbene, l’accordo globale dice che dobbiamo arrivare a dine secolo con un aumento di temperatura inferiore ai due gradi con l’obiettivo di avvicinarci quanto più possibile a 1,5°. Questo è il vero cuore etico, morale, dell’accordo, da cui nessun resta fuori.

Qual è stato in questi giorni il ruolo negoziale dell’Italia e suo?

Direi - mi permetta questa metafora sportiva - che abbiamo avuto un ruolo di mediano di spinta. Abbiamo tenuto le posizioni: abbiamo portato al dibattito il contributo dell’obiettiva 1,5° di temperatura, che rappresenta, si, la nostra cultura; abbiamo partecipato in maniera attiva a tutti i negoziati affinché si raggiungesse un accordo che - dico senza enfasi - possiamo definire davvero storico.


Ultimo aggiornamento 27.12.2015